La Legge 81/14 – Chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

La Legge 81/14 – Chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

 
 

La Legge 81/14 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari-OPG) prevede che gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) siano sostituiti dalle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems).

Le misure di sicurezza sono sanzioni che si applicano nei confronti di autori di reato considerati socialmente pericolosi allo scopo di prevenirne il pericolo di recidiva.
Si distinguono dalla pena in quanto scaturiscono da un giudizio di pericolosità e non di responsabilità – infatti si applicano anche ad autori di reato non imputabili – e di probabilità di recidiva futura e in quanto non hanno funzione retributiva, ma solo una funzione rieducativa del reo.

Queste misure erano caratterizzate dall’indeterminatezza del loro termine in quanto legate alla prognosi di pericolosità, ma la legge 30 maggio 2014, n. 81 ha introdotto in proposito un’importante modifica stabilendo che “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”.
Le misure di sicurezza possono essere personali, detentive e non detentive, e patrimoniali. Le misure personali detentive per adulti sono l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro (art.216 c.p.), l’assegnazione ad una casa di cura e di custodia (art.219 c.p.), il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

L’esecuzione in colonia agricola o casa di lavoro prevede il lavoro come strumento di rieducazione e reinserimento sociale del reo. La durata minima è di un anno, di due per i delinquenti abituali, di tre per i professionali, di quattro per i delinquenti per tendenza. La distinzione tra colonia agricola e casa di lavoro si basa sul tipo di attività che vi si svolge in via prevalente, agricola nella prima, di carattere industriale o artigianale nella seconda. Le misure sono comunque intercambiabili e pertanto nel corso dell’esecuzione l’assegnazione all’una o all’altra può essere modificata.

Esecuzione in case di cura e custodia è una misura stabilita per gli autori di delitto non colposo, condannati ad una pena diminuita a causa dell’infermità psichica o della cronica intossicazione derivante da alcool o da sostanze stupefacenti oppure affetti da sordomutismo. La durata minima varia da sei mesi e tre anni e viene eseguita dopo che la pena detentiva è stata scontata o si è altrimenti estinta.In casi particolari, è possibile ordinare il ricovero prima dell’esecuzione della pena, per evitare che l’immediata esecuzione di questa possa aggravare le condizioni di infermità psichica del condannato.

Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario è una misura di sicurezza destinata a persone non imputabili a causa di infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, sordomutismo, che siano socialmente pericolosi e persone sottoposte ad altra misura di sicurezza detentiva colpite da un’infermità psichica tale da richiedere il ricovero.La durata minima è determinata in base alla gravità della pena astrattamente prevista per il reato commesso per un periodo non inferiore a due anni nel caso di proscioglimento per salvo che si tratti di contravvenzioni o di reati per i quali legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un periodo non superiore nel massimo a due anni, nei quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all’autorità di pubblica sicurezza.
La durata minima del ricovero in OPG è di dieci anni se per il fatto la legge prevede la pena dell’ergastolo, di cinque se la pena stabilita è della reclusione per un periodo non inferiore nel minimo a 10 anni.

Dal 1°aprile 2015, l’esecuzione nelle case di cura e custodia ed il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari sono sostituite dall’esecuzione nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), come previsto dall’art 3-ter – Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari nel d.l. 211/2011 relativo a interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri.

Gli ospedali psichiatrici giudiziari strutture che a metà degli anni ’70 hanno sostituito i manicomi criminali, avrebbero dovuto cessato di esistere il 31 marzo 2015, secondo quanto stabilito dalla legge 30 maggio 2014, n. 81, ma solo due anni dopo la deadline indicata dalla legge l’Italia ha chiuso definitivamente l’ultimo OPG.

In concreto, però, che cosa è cambiato con la chiusura degli OPG e l’apertura delle Rems?

Il giudice, ora, deve disporre nei confronti del seminfermo di mente e dell’infermo di mente anche in via provvisoria, una misura di sicurezza diversa dal ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia. Questa sarà eseguita, quindi, presso strutture residenziali socio-sanitarie denominate Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems).

Si ricorre alle misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia solo se le altre misure non sono adeguate a far fronte alla pericolosità sociale del reo e sono applicate in strutture di esclusiva gestione sanitaria.

La pericolosità sociale va accertata in base alle qualità soggettive della persona e non in base alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (art.133 2c n.4 c.p.)

Come deve essere svolto dunque, dopo le recenti modifiche, l’accertamento della pericolosità sociale dell’imputato? Chiara ed esaustiva la spiegazione in una pronuncia emessa il 27 settembre 2017 dal Dott. Domenico Potetti del Tribunale Penale di Macerata.

TRIBUNALE DI MACERATA, Sezione GIP/GUP, 27 settembre 2017, Giudice Domenico Potetti, imp. X.

Pur restando immutata la definizione di cui all’art. 203 c.p., il giudizio di pericolosità sociale è stato configurato diversamente dal comma 4 dell’art. 3 ter del DL n. 211 del 2011 (conv. in l. n. 9 del 2013, poi modificato dalla l. n. 81 del 2014), sia pure ai soli fini dell’applicazione di una misura “diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia”, nel senso che l’accertamento della pericolosità sociale deve ora essere effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’art. 133, secondo comma, n. 4, c.p. (e cioè delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo), e che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Ne consegue che, se l’imputato, esaminato di per se stesso, in modo puramente individuale (come vuole la riforma) risulta socialmente pericoloso, allora a nulla rileva l’eventuale proficuo contesto in cui eventualmente egli possa essere inserito, anche se quel contesto potrebbe arginare la sua pericolosità sociale, inducendolo (ad esempio) ad assumere i farmaci a ciò necessari.

Omissis

3) Partecipazione consapevole al processo, imputabilità, pericolosità sociale.3.1 Il consulente del PM ha accertato che l’imputato è affetto da schizofrenia residua, con deterioramento cognitivo e vasculopatia cerebrale cronica, in terapia con protocollo psicofarmacologico.

Ad avviso del consulente le attuali condizioni psicopatologiche permettono all’imputato di partecipare coscientemente al processo.

Ancora il consulente ha accertato che le condizioni neuro – psicopatologiche dell’imputato al momento del fatto erano quelle di psicotizzazione acuta schizofrenica paranoidea, sostenuta ed indotta da farmaci psicostimolanti, che hanno creato un potente effetto di trascinamento, in soggetto con atrofia cerebrale, deterioramento psichico e discinesie tardive iatrogene.

Le condizioni psicopatologiche dell’imputato al momento del fatto erano quindi tali da scemare grandemente la capacità di comprendere e da elidere totalmente la capacità di volere.

Quanto alla pericolosità sociale dell’imputato, in sintesi il consulente indica la persistenza di una residua quota di pericolosità sociale di tipo psichiatrico, connaturata all’incompleto assestamento cerebro-organico e psicopatologico della persona, ma con una prevalenza dei fattori di protezione sui fattori di rischio.

Ad avviso del perito, tale quota residua di pericolosità può essere controllata e stabilizzata con la prosecuzione vigile e direttiva dei trattamenti psico farmacologici e riabilitativi sulla persona e sulla sua relazionalità, presso una struttura riabilitativa che disponga di adeguati livelli di vigilanza ed assistenza sull’assunzione farmacologica, l’igiene di vita e mentale e la risocializzazione.

Conclude quindi il consulente nel senso che l’imputato mantiene, nell’attualità, elementi nucleari in remissione ma attivi e non ancora stabilizzati, degli stessi fattori schizoparanoidi responsabili dell’emergenza critica psicotica acuta, le cui condotte-sintomo si sono costituite nei fatti – reato per cui è processo.

Questa residua quota di pericolosità sociale di tipo psichiatrico può essere neutralizzata e controllata con la permanenza in trattamento presso una struttura sanitaria o residenziale che offra livelli assistenziali e riabilitativi di minima risocializzazione, con adeguata vigilanza diretta sull’assunzione delle terapie psicofarmacologiche prescritte. °°°

3.2 Da quanto precede si evince quindi la sussistenza (ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza) della pericolosità sociale dell’imputato.

Prima della l. n. 81-14 si riteneva in effetti che ai fini del giudizio di pericolosità sociale, quando si fosse trattato di infermi o seminfermi di mente, il riferimento, contenuto nel co. 2 dell’art. 203 c.p., alle “circostanze indicate nell’art. 133” non escludesse affatto, ma anzi presupponesse che dette circostanze venissero valutate tenendo conto della situazione obiettiva in cui il soggetto, dopo la commissione del reato e l’eventuale espiazione della pena, si fosse trovato a vivere e ad operare e, quindi, anche della presenza ed affidabilità o meno di presidi territoriali socio-sanitari, in funzione delle obiettive e ineludibili esigenze di prevenzione e di difesa sociale alla cui salvaguardia sono finalizzate (in difetto di altri strumenti d’intervento e di controllo che assicurino pari o superiore efficacia) le misure di sicurezza previste dalla legge (v. Cass., Sez. I, n. 507-93-94).

Ma dopo la l. n. 81-14 (pur restando immutata la definizione ex art. 203 c.p.) il giudizio di pericolosità sociale è stato configurato diversamente dal comma 4 dell’art. 3 ter del DL n. 211-11 (conv. l. n. 9-13, poi modificato dalla l. n. 81-14), sia pure ai soli fini indicati dalla norma (cioè ai soli fini dell’applicazione di una misura “diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia”: v. infatti C. cost. n. 186-15).

Esso prevede (fra l’altro) che l’accertamento della pericolosità sociale è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’art. 133, secondo comma, n. 4, c.p. (e cioè delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo), e che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali.

Questa norma ha superato indenne lo scrutinio di costituzionalità (v. C. cost. n. 186-15).

Infatti, il Giudice delle leggi ha “assolto” il comma 4 dell’art. 3 ter del d.l. n. 211-11, ritenendo che la modifica introdotta dalla novella (dell’art. 1, comma 1, lett. b), del DL n. 52-14) non riguarda la pericolosità sociale come categoria generale, ma si riferisce più specificamente alla pericolosità che legittima il ricovero in un ospedale psichiatrico o in una casa di cura.

La disposizione, osservano i giudici della Consulta, esordisce affermando che “il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza”, ed è chiaro che nel fare ciò il giudice deve valutare la pericolosità sociale nei modi generalmente previsti.

È solo, si dice, per disporre il ricovero di una persona in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura o di custodia che il giudice deve accertare, senza tenere conto delle condizioni di cui all’art. 133, secondo comma, n. 4, del c.p., che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale.

La limitazione quindi non riguarda in generale la pericolosità sociale, ma ha lo scopo di riservare le misure estreme, fortemente incidenti sulla libertà personale, ai soli casi in cui sono le condizioni mentali della persona a renderle necessarie.

Resta però (osserva questo giudicante) che la riforma si esprime (sia pure nei limiti suddetti) a favore di una pericolosità sociale decontestualizzata, mediante un’astrazione del giudizio rispetto ai fattori esterni alla persona, che non possono essere presi in considerazione.

Com’è stato correttamente osservato in dottrina, la riforma ci consegna un’immagine dell’autore del reato come un soggetto da laboratorio, sottratto all’influenza dei fattori esterni e sembra guardare con favore il ritorno ad una nozione biologica di pericolosità sociale. °°°

3.3 Comunque, alla luce di tali considerazioni, l’imputato qui giudicato va considerato socialmente pericoloso, proprio sulla base di quella concezione puramente soggettiva (astratta) che la riforma di cui sopra ha voluto consacrare.

Secondo il responso del perito, infatti, è chiaro che l’imputato, esaminato di per se stesso, in modo puramente individuale (come vuole la riforma) è socialmente pericoloso.

Come si è visto, a nulla rileva l’eventuale proficuo contesto in cui eventualmente l’imputato possa essere inserito; contesto che potrebbe arginare la sua pericolosità sociale, inducendolo (in ipotesi) ad assumere i farmaci a ciò necessari.

Si tiene altresì, nei sensi di cui al comma 4 dell’art. 3 ter del DL n. 211-11, che ogni misura diversa dal ricovero in apposita struttura protetta non sarebbe idonea ad assicurare all’imputato cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale, perché solo una siffatta struttura può garantire le cure necessarie ad arginare quella pericolosità, mediante una continua e adeguata assistenza.

Del resto lo stesso consulente ha stabilito la necessità di una prosecuzione vigile e direttiva dei trattamenti psicofarmacologici e riabilitativi, presso una struttura riabilitativa che disponga di adeguati livelli di vigilanza ed assistenza sull’assunzione farmacologica, l’igiene di vita e mentale e la risocializzazione

Va quindi applicata al medesimo la misura di sicurezza di cui il dispositivo. °°°

Omissis.

 

 

Sitografia

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_0_8.page

https://www.studiocataldi.it/articoli/28803-il-giudizio-di-pericolosita-sociale-del-reo-come-si-accerta-dopo-le-recenti-riforme.asp

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